Veneto No Pfas.
“Bisogna conoscerli a fondo i fatti prima di avversare, altrimenti perché avversare?”
Euripide, Elettra.
Il 23 ottobre 2018 il Parlamento europeo, riunito a Strasburgo in seduta plenaria, è stato chiamato a votare il report Dantin per la modifica della Direttiva sulle acque potabili.
Per l’occasione l’europarlamentare Eleonora Forenza, insieme al gruppo GUE/NGL, ha nuovamente ospitato il comitato Mamme NoPfas – genitori attivi – area contaminata costituitosi anni fa per denunciare l’inquinamento delle falde acquifere del veneto orientale, inquinamento causato dalle sostanze chimiche di uso industriale denominate PFAS.
Il Parlamento ha fallito nel bandire l’uso delle sostanze PFAS, settando un limite di tolleranza troppo alto, contrario allo 0% che proponevano gli emendamenti presentati dal GUE.
I limiti fissati, solo per i Pfas a catena lunga, sono: 100 ng/L per ogni singolo Pfas e 500 ng/L per la somma di tutti i Pfas.
Purtroppo non sono stati fissati limiti per i Pfas a catena corta, quelli tuttora in produzione e più difficili da bloccare con i filtri utilizzati dagli acquedotti.
È stata però accolta la proposta presentata dal gruppo GUE/NGL, che esprime la necessità di aggiornare regolarmente l’analisi del “rischio” man mano che vengono scoperte nuove sostanze contaminanti nell’acqua.
Cosa sono i Pfas
Le sostanze perfluoroalchiliche, cancerogene di tipo B, usate come impermeabilizzanti per tessuti e pentole, che in Veneto hanno contaminato le acque fra le province di Vicenza, Padova e Verona, creando un’emergenza ambientale che riguarda più di 350mila persone, sono una famiglia di composti chimici usati prevalentemente dall’industria.
I fiumi e l’acqua potabile di molti comuni sono inquinati da questi composti che possono causare danni al sistema riproduttivo e ormonale.
Sono acidi molto forti usati in forma liquida, con una struttura chimica che conferisce loro una particolare stabilità termica e li rende resistenti ai principali processi naturali di degradazione.
Dagli anni Cinquanta i PFAS sono usati nella filiera di concia delle pelli, nel trattamento dei tappeti, nella produzione di carta e cartone per uso alimentare, per rivestire le padelle antiaderenti e nella produzione di abbigliamento tecnico, in particolare per le loro caratteristiche oleo e idrorepellenti, ossia di impermeabilizzazione.
Le classi di PFAS più diffuse sono il PFOA, acido perfluoroottanoico, e il PFOS, perfluorottanosulfonato.
PFOA e PFOS, ad 8 atomi di carbonio, hanno un’elevata persistenza nell’ambiente, oltre 5 anni, mentre altri PFAS a catena corta, 4-6 atomi di carbonio, hanno una persistenza ridotta, misurabile in qualche decina di giorni.
Gli effetti sulla salute di queste sostanze sono sotto indagine, indagine che al momento li pone tra i fattori di rischio per un’ampia serie di patologie.
Si ritiene che i PFAS intervengano sul sistema endocrino, compromettendo crescita e fertilità, e che siano sostanze cancerogene.
Non si tratta di sostanze dagli effetti immediati ma la lunga esposizione è da mettere in relazione con l’insorgenza di tumori a reni e testicoli, lo sviluppo di malattie tiroidee, ipertensione gravidica e coliti ulcerose. Alcuni studi hanno ipotizzato una relazione tra le patologie fetali e gestazionali e la contaminazione da queste sostanze.
Se smaltiti illegalmente o non correttamente nell’ambiente, i PFAS penetrano facilmente nelle falde acquifere e, attraverso l’acqua, raggiungono i campi e i prodotti agricoli, e perciò gli alimenti.
Ad alte concentrazioni sono tossici non solo per l’uomo, ma per tutti gli organismi viventi: queste sostanze tendono infatti ad accumularsi nell’organismo attraverso processi di bioamplificazione (che avvengono quando gli organismi ai vertici della piramide alimentare ingeriscono quantità di inquinanti superiori a quelle diffuse nell’ambiente).
Nulla è impossibile, ma è poco probabile che, oggi, le aziende del Veneto smaltiscano illegalmente o non correttamente gli inquinanti, quello di cui parliamo ora sono le conseguenze dei PFAS, a lungo smaltiti illegalmente.
Nel Marzo 2018, dopo anni di inascoltate denunce e, in seguito ai risultati dell’indagine commissionata dal CNR, il Consiglio dei Ministri ha infine dichiarato lo stato di emergenza per i PFAS in Veneto e nominato un commissario.
Dal 2010 l’Europa mette in guardia l’Italia rispetto al rischio Pfas nei cibi, anche perché, come é stato riportato in molti pareri di veterinari, dall’industria all’ambiente e dall’ambiente alla catena alimentare, il passo è breve. Ad accendere i fari sulla presenza dei cosiddetti Pfas in diversi settori del ciclo industriale della Valchiampo e della Valle dell’Agno era stata la stessa Regione Veneto con il “Progetto Arzignano Salute 2010?.
A pagina 204 di quel documento si leggeva: “tra le sostanze usate nella industria conciaria (oltre che in molte altre lavorazioni) vi sono i composti organici fluorinati (fluorinated organic compouds, FOCs), tra cui perfluorottano sulfonato (perfluorooctane sulfonate, PFOS), perfluoro ottanato (perfluorooctanoate, PFOA) e perfluorottano sulfanilamide (perfluorooctane sulfonylamide, PFOSA)”. . «
Ben dodici tipi di Pfas erano monitorati da Arpav già dal 2013 e prima del 2013, e a livello internazionale, veniva studiata la loro tossicità. Ovvero i Pfas venivano riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale quali sostanze interferenti con gli ormoni e quali sostanze neurotossiche con bioaccumulo negli organismi viventi.
Rifondazione Comunista e la battaglia NoPfas
Rifondazione Comunista è in prima linea nella battaglia contro i Pfas e per la difesa di un territorio che, decenni di un’ idea di progresso insensata e catastrofica, hanno massacrato.
Il lavoro fatto da Eleonora Forenza al Parlamento europeo, iniziato con la presentazione dell’interrogazione che denunciava l’inquinamento da sostanze PFAS nelle acque del Veneto occidentale, proseguito con il sostegno agli emendamenti sulle direttiva acqua potabile, relativi al limite 0% e che continuerà, nella difesa di ambiente, salute e per un modo diverso di produrre, è legato a doppio filo al percorso iniziato nei primi anni novanta, con il lavoro di indagine, studio e denuncia, su tutte le attività industriali inquinanti, di Luciano Ceretta, segretario all’epoca della federazione vicentina del Partito.
Luciano Ceretta fu un attivista ambientale e un Compagno di altissimo valore; nel 1995, quando era consigliere provinciale, presentò un’interrogazione su quella che oggi si chiama Miteni, preoccupato della storia che questa azienda portava con sé dagli anni 70, quando si chiamava Rimar ed era già stata ritenuta responsabile di un gravissimo inquinamento; chiese e ottenne, dalla giunta di allora, un serio protocollo di controllo sull’intero ciclo produttivo dell’azienda, preoccupato che una fabbrica sotto direttiva Seveso fosse lasciata libera di gestire in proprio, a fondo perduto, sostanze tossiche, mediante nuova concessione prorogata per altri 5 anni.
Non si parlava esplicitamente di Pfas, ma, se lo stesso zelo lo si fosse mantenuto negli anni, da parte di altri amministratori, si sarebbe potuti intervenire quanto meno con una parziale bonifica del sito.
Se oggi, sicuramente troppo tardi, la battaglia NoPfas arriva sui media e al Parlamento europeo, è merito del lavoro importante di controllo fatto dai nostri consiglieri provinciali e regionali, quando il PRC era presente nelle aule consiliari; dai nostri segretari di circoli e di federazione, nei comitati e nella associazioni ambientaliste, perché da sempre il PRC ha cercato di contrastare politiche distruttive e ha denunciato connivenze e silenzi, primo fra tutti quello della a Regione Veneto.
https://left.it/2018/08/28/lacqua-e-vita-ma-non-in-veneto-le-mamme-nopfas-contro-linquinamento/
http://www.rifondazione.it/primapagina/?p=33322
http://www.rifondazione.it/primapagina/?p=35399
https://www.facebook.com/rifondazione.comunista/posts/10155390178902019/
http://www.prc-federazione.vicenza.it/basta-al-ricatto-ambiente-o-lavoro/
http://www.rifondazione.it/esteri/index.php/2018/01/25/noi-non-ce-la-siamo-mai-bevuta-la-commissione-europea-conferma-la-contaminazione-delle-acque-in-veneto/
http://www.bellunopress.it/2017/11/07/inquinamento-pfas-dopo-il-danno-la-beffa-la-contaminazione-riguarda-15-della-popolazione-veneta/
http://nopfas.it/category/rifondazione-comunista-sui-pfas/
http://www.rifondazione.padova.it/2016/04/comunicato-stampa-prc-vicenzaveronapadova-inquinamento-da-pfas-la-risposta-necessaria/
Lo scandalo Miteni e il fallimento
L’azienda chimica Miteni di Trissino è ritenuta dalle autorità locali la fonte principale dell’inquinamento da Pfas.
Dal 2009, Miteni fa parte del gruppo ICIG,un investitore opportunista che acquista pezzi di grandi conglomerati farmaceutici o chimici che non sono più ritenuti interessanti dai gruppi di origine e che, nel 2009, ha comprato Miteni dal Gruppo Mitsubishi al prezzo simbolico di 1 euro.
Negli ultimi dieci anni Miteni SpA ha sempre chiuso il bilancio in perdita riducendo la forza lavoro del 28%, da 176 a 126 dipendenti.
Il gruppo ICIG è sua volta controllato dalla holding lussemburghese ICI SE (International Chemical Investors) che, alla fine 2016, contava un capitale di 238 milioni di euro.
Alla fine del 2016 invece, le risorse finanziarie con cui Miteni dovrebbe far fronte ad eventuali risarcimenti, erano pari ad appena 6,5 milioni di euro.
Una cifra modesta se paragonata con i soli costi per il rifacimento degli acquedotti che la Regione Veneto stima in 200 milioni di euro.
Ma la Miteni risolve il problema alla radice: dichiara fallimento e procede ai licenziamenti collettivi di 121 lavoratori.
Per i dipendenti dell’azienda, rei di aver aderito ad uno sciopero, indetto dalla RSU in denuncia della situazione di difficoltà in cui versano, incluso il mancato pagamento del residuo degli stipendi da maggio 2018, si prospettano giorni di contrattazione sindacale con l’aggravante che essi devono presidiare gli impianti perché, trattandosi di un’azienda soggetta a legge Seveso, l’alto rischio di incidenti rende necessario un costante monitoraggio e mesi prima della definitiva chiusura.
La notizia viene dopo quella dell’avvio della procedura di fallimento, iniziata il 26 ottobre del 2018, perfetta conclusione di una politica aziendale che è stata sempre quella di tutelare il capitale di fronte al lavoro, alla salute e all’ambiente.
La proprietà non ha mai investito ne sulla fabbrica, ne sui lavoratori, costantemente esposti a rischio contaminazione da Pfas, con le logiche ricadute sulla salute, ed ora vuole sottrarsi alle responsabilità, responsabilità che investono anche la Regione Veneto che mai ha fatto pressioni per impegnare, nella trattativa e nella bonifica del sito, la multinazionale proprietaria di Miteni, la holding lussemburghese Icig.
Rifondazione Comunista ha chiesto bonifica, riconversione, equa redistribuzione del capitale perché chi inquina deve pagare, non possiamo accettare che, nella logica del profitto, a rimetterci siano sempre i lavoratori ed i cittadini, di fronte a multinazionali che si rifiutano di investire in impianti, migliorie e sicurezza e ad istituzioni che gli permettono di agire indisturbate.
Se la contaminazione sia dovuta ai soli scarti di lavorazione della Miteni finiti nel ciclo dell’acqua, o se sotto lo stabilimento siano state per qualche motivo sversate anni addietro peci di Pfas, che verrebbero di volta in volta risucchiate dall’acqua ogni volta che la falda sotterranea cresce, resta l’interrogativo più grande ed inquietante da risolvere e su cui continueremo a rimanere vigili.
Questo lavoro, e la battaglia NoPfas del Partito della Rifondazione Comunista, sono dedicati al Compagno Luciano Ceretta, che per anni è stato voce critica, coraggiosa e tristemente inascoltata.
Ringrazio il compagno Roberto Fogagnoli che mi ha fatto scoprire chi fosse.
Elena Mazzoni
Responsabile nazionale ambiente PRC-SE
20/2/2019 www.rifondazione.it
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