Venezuela. Fermare le dittature digitali di WhatsApp e “X”

Di: Fernando Buen Abad

15 agosto 2024 

La Rivoluzione venezuelana, che è un governo democratico, è obbligata a non cedere un briciolo di terreno alla controrivoluzione mediatica che si prepara a distruggere il meglio che il popolo ha costruito e il meglio del suo sviluppo. Non per concedergli privilegi, per non concedergli l’impunità, per non concedergli spazio per il tradimento.

In tutto il mondo, gli ideologi e i terroristi del liberalismo dei mass media si stanno già preparando, armati delle calunnie e dei trucchi più confusi, a colpire da tutte le parti la decisione del governo di cancellare provvisoriamente WhatsApp e “X”. I bombardamenti di calunnie, le accuse, le raffiche di saliva ipocrita che chiederanno la “libertà di espressione” per giustificare la libertà di aggressione contro un popolo sul piede di lotta sono già in preparazione. I profeti di sventura dell’aggressione controrivoluzionaria sono già annunciati, non possiamo aspettare.

Non è sufficiente annullare le concessioni, la distribuzione e la commercializzazione dei “social network” con le loro accuse di colpo di stato. Non può succedere a noi, (non dovrebbe succedere a noi) che le denunce del governo venezuelano si riducano a un episodio aneddotico, che venga spacciato per un capriccio legalistico, un capriccio localista o come preda dei distortori stipendiati. Quella decisione ci coinvolge tutti, ci appartiene, è una nostra responsabilità e ci obbliga a studiarla, ampliarla, contestualizzarla e accompagnarla. Fino alle sue ultime conseguenze. È un’opportunità e un esempio per il mondo intero e dovremmo includere la sua portata nelle agende e nei programmi più immediati. La cancellazione delle concessioni non è sufficiente.

Dalle dittature digitali di WhatsApp e “X” (insieme a molti altri golpisti) non solo hanno intrapreso un’offensiva della loro “libertà di espressione” borghese, ma hanno ratificato il progetto di saccheggio delle risorse naturali che la destra venezuelana ha offerto ai gruppi transnazionali di sinistra e ultradestra, con “guarimbas” e con campagne di brutale violenza ibrida contro le istituzioni della rivoluzione… In breve, i “social network” hanno perfezionato tattiche quotidiane di percosse, calunnie, seminando sospetti, squalifiche e terrorismo emotivo, di natura neofascista contro il processo rivoluzionario venezuelano. La Rivoluzione venezuelana, che è un governo democratico, è obbligata a non cedere un briciolo di terreno alla controrivoluzione mediatica che si prepara a distruggere il meglio che il popolo ha costruito e il meglio del suo sviluppo. Non per concedergli privilegi, per non concedergli l’impunità, per non concedergli spazio per il tradimento. Nessun compromesso.

La decisione di chiudere la strada alle operazioni alienanti e/o controrivoluzionarie, intraprese dai proprietari delle “reti”, non raggiunge i suoi migliori compiti semplicemente cancellando, provvisoriamente, le aggressioni di cui hanno beneficiato per anni, perché è necessario sollevare un dibattito e un giudizio internazionalista, un movimento di organizzazioni sociali e operaie che riveli il caso venezuelano. E non solo, come un caso che riguarda il mondo e che, giorno dopo giorno, diventa un problema più acuto con sequele più gravi. Un movimento internazionalista scientifico, politico, comunicativo è necessario per esercitare un controllo democratico diretto e meticoloso sul lavoro di tutti i mass media, ma soprattutto sulle “reti sociali” non come un “controllo” unilaterale delle burocrazie o delle direzioni, ma un controllo diretto dei popoli, degli utenti, dei lavoratori delle stesse catene di comunicazione. Organizzato con un metodo rivoluzionario per costruire un progetto di comunicazione garantito da interventi tecnici, teorici, creativi, ludici, poetici della migliore qualità possibile, in funzione dello sviluppo acquisito, concordato nelle forme e nelle idee. Non è sufficiente annullare le concessioni quando è necessaria una rivoluzione socialista nella comunicazione.

Ci sarà “libertà di espressione” solo quando i cosiddetti “media” cesseranno di essere proprietà privata dei monopoli multinazionali, camuffati da travestimenti “democratici”. Ci sarà “libertà di espressione” quando i lavoratori interverranno, con indipendenza politica, nella gestione dei media. Ci sarà “libertà di espressione” quando, con l’aiuto di tutte le conoscenze e gli strumenti scientifici, etici e politici possibili, si libereranno oggettivamente le potenzialità del pensiero e delle competenze umane in tutti i campi della vita sociale. C’è qualcosa di molto sbagliato se un organo di stampa non obbedisce allo sviluppo dei popoli, alle loro agende di lotta, dal basso, con l’intervento completo di tutte le voci, c’è qualcosa di molto sbagliato se non c’è un’agenda e una direzione dei lavoratori e questo deve essere corretto. Nessun compromesso.

La pratica borghese di educare le coscienze ad accettare acriticamente l’interpretazione mercantile di un mondo controllato e degenerato dai potenti non è “libertà di espressione”. Non è “libertà di espressione” dipingere un mondo bello per i ricchi mentre le masse ingoiano un silenzio amaro e obbligatorio di fronte ai saccheggi, alla miseria, alla predazione e alla violenza contro i popoli. La vertigine melodrammatica di quei “social network” di pessima qualità, che sfruttano gli operatori dei media e vendono gli escrementi cinici di pubblicisti e giornalisti borghesi a caro oro, non è “libertà di espressione”. Non è “libertà di espressione” avere reti di mass media per esibire le buffonate della borghesia, la sua pornografia, la pedofilia, il sadomasochismo… di famosi funzionari, poliziotti e chierici. Non importa quanti poteri abbiano. Non è “libertà di espressione” usurpare i mass media per esporre i rapporti delle oligarchie con le burocrazie e pubblicizzarli come se fossero conquiste morali. L’esibizionismo centachereo dello spettacolo patetico, i suoi bagni di simpatia morale per “il popolo” o le sue doti messianiche non è “libertà di espressione”. Non è “libertà di espressione” formare gli studenti nelle scuole, pubbliche o private, in modo che servano docilmente l’alienazione dei consumatori, insegnino loro ad essere corrotti, a prostituirsi per pochi pesos e a seppellire i morti della barbarie capitalista sotto il letame della loro sintassi giornalistica. La libertà di espressione non è la libertà del mercato.

Dalle dittature digitali di WhatsApp e “X”, la borghesia si prepara a difendere, con le unghie e con i denti, uno dei suoi pulpiti più costosi in Venezuela. I levrieri della “comunicazione” capitalista si preparano a iniziare un altro fuoco di sbarramento di aggressioni contro il Venezuela, questa volta usando la canaglia di accusare la Rivoluzione di essere autoritaria, cioè di accusare l’altro di quello che fa, se questo è il piano e hanno già tattiche, strategie e budget per questo… approfondiremo le nostre campagne disposti, insieme a molte altre azioni, a contribuire al compito di caratterizzare, denunciare, smantellare e superare qualsiasi aggressione contro la Rivoluzione venezuelana. Se stanno già studiando, in tutti i centri di “intelligence”, le modalità di spionaggio e sabotaggio per fermare la decisione di sottoporre le “reti” alla critica, dopo un colpo di Stato che distrugge il prestigio democratico mondiale del Venezuela, se si prendono la briga, è necessario prevedere mille e una strategia rivoluzionaria dal basso per difendere ed espandere le conquiste della bellissima rivoluzione. Poche cose sono più importanti in questo momento.

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