“Verde ma non troppo”
A volte ritornano, sotto altro nome
Aspenia è una rivista (del conosciuto Aspen Institute) che si autodefinisce “verde ma non troppo”, seppur, naturalmente, ecosostenibile. Il 23 ottobre scorso il suo vicedirettore è stato intervistato per mezz’ora su Rai-radio-uno in fascia oraria pre-partite champions (che si ha quindi motivo di ritenere sia tra quelle di maggiore ascolto). Mezz’ora ora di sevizio pubblico (“il protagonista sei tu”, ripete ossessivamente lo slogan) spesa per dire che va bene Greta, ottimo il Fridays For Future, ma «occorre farlo accettare dalla maggioranza dei cittadini nei Paesi occidentali dove le cose si fanno col consenso»… A patto, ovviamente, che il movimento diventi “adulto” rinunciando a parole d’ordine antagoniste e a posizioni pregiudiziali contro le grandi multinazionali che sono le uniche ad avere le risorse finanziarie (e umane: i cervelli) per procedere spediti verso un’economia che deve sì mutare radicalmente ma con gradualità – “avanti piano” – per far “accettare i costi” che il cambio anche dello stile di vita clima compatibile comporterà. E qui splendido assist (mancava poco alle partite) del conduttore della radio pubblica che chiamava in causa i gilet gialli che hanno messo a ferro e fuoco per mesi la ville lumière e i campi elisi per la «giusta ma un po’ affrettata decisione di Macron» di aumentare il costo del gasolio da autotrazione per tassare l’inquinamento.
Non la faccio ulteriormente lunga perché dal link della rivista (in carta patinoriciclata) si può scaricare l’editoriale (e tanto basterebbe) e altri materiali per farsi venire l’acquolina in bocca (per gli apprendisti eco-pragmatici la rivista cartacea è disponibile in edicola e librerie).
Il tono, più ancor che gli argomenti “vincenti” illustrati dalla coppia intrattenitore/venditore (a spese di chi paga il canone), ha ricordato molto da vicino l’approccio del Nimby Forum quando nel 2005 (dopo la visibilità straordinaria acquisita dal movimento No TAV, a seguito della rivolta popolare di Venaus), tentarono di rinchiuderci in un angusto cortile, paragonandoci a chi – pur producendone a tonnellate e non differenziandoli – non vuole i rifiuti (e soprattutto le discariche e gli inceneritori, anzi termovalorizzatori) sotto casa…
Greta, che peraltro pare assai avveduta senza bisogno dei buoni consigli del nonno che qui scrive, è avvisata. E soprattutto lo sono i milioni di ragazzi che si sono ispirati alla risoluta intransigenza del suo j’accuse: devono sapere che le loro rivendicazioni possono essere accolte (dai ladri del loro futuro) solo a patto che divengano il motore della “green-economy”, del “bio-business”, soprattutto se si riveleranno un mezzo per drenare sempre più risorse pubbliche dal welfare, dalla scuola e dalla sanità verso le lobby finanziarie divenute gestori delle utility a (a loro volta realizzate interamente col denaro pubblico). È così che la rete autostradale (manutenuta come tragicamente sappiamo) è stata privatizzata. Così sta accadendo per le ferrovie (ma solo il pezzo che fa utili grazie alle enormi risorse finanziarie messe, a sua insaputa, dalla collettività per realizzare la dorsale AV); così è (se vi pare) per l’energia, le cui società pubbliche sono finite nelle mani degli oligarchi di casa nostra, così diversi e così uguali a quelli russi fino a ieri “capipolitici” del partito unico che governava l’ex Unione Sovietica…
Ma da noi serve il consenso, che lorsignori costruiscono tutti i giorni con giornali tenuti in piedi (tanto per cambiare) col contributo pubblico e con giornalistar–servi della tv & radio di Stato. La fabbrica del consenso, peraltro, è ampia e articolata e ha tante bocche da sfamare (genitori e figli, portatori di borse, creativi, tutto certificato dai bollini-verdi ma non troppo): non sia mai che i soldi dei cittadini servano davvero a invertire la rotta climaticida in atto. Grazie anche e soprattutto alle più subdole delle Grandi opere (vedi alla voce MOSE) che promettono di salvare Venezia dall’innalzamento del mare, ma – mentre la Serenissima sprofonda – innalzano senza fine il reddito occulto dei politici in sempre più veloce e famelico avvicendamento.
Per questo è essenziale, oggi più di ieri, smascherare, prima ancora dei certificati, i certificatori; capicomici che salgono quotidianamente su piedistalli fondati sulla sabbia predicando, con un illusionismo da avanspettacolo, la real-politique ambientale: imbonitori passati dai mercati rionali al cloud che hanno aggiornato il “venghino signori” con l’hashtag di giornata, l’“unguento miracoloso” con l’attestato verde-bio con cui persino il TAV può diventare ecosostenibile, anzi desiderabile per sconfiggere definitivamente l’effetto serra (chi sa, forse la rivista eco-patinata promossa dalla Rai-di-tutto-di-più, lo sostiene esplicitamente e senza pudore nelle pagine interne in attesa di spararla in prima: e sempre a spese nostre).
Anche per questo ci manca Mirco Federici, il giovane ricercatore della Università di Siena (scomparso prematuramente molti anni fa) che per primo, con il professor Sergio Ulgiati come tutor, ha indagato e smascherato il bluff del bilancio energetico (quindi di emissioni) delle Grandi Opere di cui i proponenti/gestori omettono accuratamente, per “far tornare i conti”, gli abnormi costi ambientali di cantiere.
Ma il lavoro di Federici resta e basta e avanza per sbugiardare non solo i papers degli eco-intrattenitori, ma anche gli slogan stampati sui biglietti delle “frecce ” con dati addomesticati sul risparmio di CO2 di quel 5% che si sposta col TAV rispetto a un treno ordinario su linee pre-esistenti (quelli e quelle che vanno a scomparire proprio grazie alle risorse dirottate sull’AV e che sono usate dal 95% dei cittadini).
Claudio Giorno
30/10/2019 volerelaluna.it
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