Verità per Hasib
Nessun mandato di perquisizione da parte della Procura di Roma. È quanto emerge, secondo l’Ansa, dai primi accertamenti svolti nell’ambito dell’indagine sul caso di Hasib Omerovic, il sordomuto di etnia rom precipitato dalla finestra del suo appartamento a Roma lo scorso 25 luglio mentre in casa sua si trovavano quattro agenti in borghese della Polizia di Stato.
Sarebbe stato il post apparso sulla pagina Facebook di quartiere in cui si accusava direttamente l’uomo di molestare le donne a spingere la Polizia ad effettuare un controllo nell’abitazione di Hasib. Un controllo «preventivo», come avviene spesso in casi analoghi. Proprio il giorno prima della vicenda sul social network era comparso un post – poi cancellato – con la foto di Omerovic e l’avvertimento di fare attenzione «a questa specie di essere che importuna le ragazze». Seguito da una minaccia: «bisogna prendere provvedimenti».
Un post, secondo quanto si apprende, che non è sfuggito ai poliziotti del commissariato Primavalle che infatti il giorno dopo si sono presentati in quattro, tre uomini e una donna, a casa di Omerovic e hanno bussato alla porta. Un controllo per identificare il soggetto ma soprattutto un’iniziativa, viene sottolineato all’Ansa, per prevenire eventuali violenze visto che spesso, in passato, proprio il mancato intervento in anticipo è sfociato in violenze e femminicidi. La necessità di agire tempestivamente, anche in assenza di denuncia, sarebbe dunque la motivazione che ha portato i poliziotti a casa dell’uomo. Ora chi indaga sull’accaduto dovrà chiarire se sia trattata di una perquisizione di iniziativa coordinata da un funzionario o di una decisione presa dagli agenti che verranno sentiti nei prossimi giorni dagli inquirenti. Questo significa che sono stati quindi identificati: un primo passo avanti rispetto all’opacità che avvolge tale caso, balzato alla cronaca nazionale grazie all’iniziativa del parlamentare Riccardo Magi, Presidente di +Europa, e al presidente dell’Associazione 21 luglio Carlo Stasolla.
Gli uomini della Squadra mobile della capitale, a cui la Procura di Roma ha delegato le indagini, hanno ascoltato intanto i vicini di casa della famiglia Omerovic. L’intenzione è quella di muoversi velocemente sia per rispondere alla domanda di verità della famiglia del 37enne, che resta in ospedale in coma vigile senza possibilità di fornire la sua versione, ma anche a tutela dei poliziotti, per i quali vale come per tutti la presunzione di innocenza, ça va sans dire. Per ora i magistrati Stefano Luciani, che ricordiamo essere stato il pm del processo sul cosiddetto depistaggio sulle indagini sulla strage di via D’Amelio, e Michele Prestipino procedono per tentato omicidio in concorso contro ignoti. Bisogna capire se Hasib è stato lanciato dagli agenti o se si è buttato per sfuggire ad un pestaggio. La famiglia Omerovic esclude categoricamente un tentativo di suicidio. Tutto dipenderà da quanto saranno ritenute credibili le dichiarazioni della sorella di Hasib che era in casa con lui al momento dei fatti: anch’ella disabile (psicofisica), è l’unica testimone oculare dei tragici fatti di quel giorno. Poi saranno importanti anche le voci dei vicini.
Nel quartiere popolare di Primavalle le persone, i testimoni, chi sa qualcosa hanno paura di parlare ma come ci ha detto l’avvocato Arturo Salerni, che assiste la famiglia Omerovic insieme alla collega Susanna Zorzi, «alcune collaborazioni ci sono state. Domani chiederemo anche noi di essere ascoltati dalla Procura. Ma ci preme soprattutto che il Ministro dell’Interno Lamorgese dia subito una risposta all’interrogazione fatta dall’onorevole Riccardo Magi».
Sulla vicenda è arrivato anche il commento di Luigi Manconi, Presidente dell’associazione A buon diritto: «La prima condanna per l’omicidio di Stefano Cucchi è arrivata dopo 10 anni, quella per la morte di Giuseppe Uva e di molti altri non c’è mai stata. Quanto tempo ci vorrà per la verità su Hasib Omerovic? E com’è possibile che oggi, in Italia, nella città di Roma, ci vogliano 50 giorni per apprendere un simile fatto?». Noi aggiungiamo: come mai si muore o si rischia di morire nelle mani dello Stato? Ricordiamo alcuni nomi, grazie proprio alle storie raccolte da A buon diritto: «Andrea Soldi, 45 anni, nell’agosto 2015 viene sottoposto contro la sua volontà a un violento Tso a seguito del quale perde la vita. Stefano Cucchi muore il 22 ottobre 2009 dopo aver attraversato undici luoghi delle istituzioni e non essere stato tutelato in nessuno di questi. Federico Aldrovandi, 18 anni, muore all’alba del 25 settembre 2005 a Ferrara sotto i colpi infertigli da quattro agenti di polizia. Nella notte tra il 14 e il 15 giugno 2008 Giuseppe Uva muore a Varese dopo una notte passata nella caserma dei carabinieri».
Valentina Stella
14/9/2022 https://www.ildubbio.news
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