VERSO L’8 MARZO, PERCHE’ UN NUOVO SCIOPERO DELLE DONNE

Donne-invisibili

La condizione delle operaie, delle lavoratrici più sfruttate viene taciuta, non se ne parla, al massimo compare in qualche statistica di inserti dei giornali, o in qualche inchiesta scoop, che resta appunto solo uno scoop (normalmente, devono morire le lavoratrici perchè appaiano sui giornali, o entrino in qualche reportage). Eppure le lavoratrici stanno subendo attacchi come non mai, sono le prime vittime delle politiche del padronato, del Jobs Act del governo Renzi.

Ma non se ne deve parlare. Perchè la loro condizione mette a nudo tutto il sistema di sfruttamento e oppressione, sul luogo di lavoro e fuori, fatto di attacchi alle condizioni di lavoro, discriminazioni, fino ai ricatti sessuali.

Gli stessi sindacati confederali, tacciono o parlano solo quando la condizione delle donne esplode, spesso tragicamente, come le braccianti quest’estate; non organizzano le lotte, anzi le impediscono. La Fiom al massimo esce ogni tanto con qualche utile inchiesta, ma poi frenano le lavoratrici che agiscono, come alla Sata di Melfi, e fa di una questione di dignità, un misero punto di una inutile piattaforma.

MA LE LAVORATRICI NON NE POSSONO PIU’!

Le operaie della Sata di Melfi, come degli altri stabilimenti FCA, sono stanche dopo poche ore di lavoro, esaurite dalla fatica. Nelle brevi pause di 10 minuti devono decidere se andare nei bagni lontani, dove devono sbrigarsi anche nei giorni del ciclo, o mangiare un panino; i turni stressanti, i ritmi e i carichi di lavoro attaccano anche la loro salute riproduttiva; gli ultramoderni sistemi di intensificazione del lavoro di Marchionne (ERGO UAS) portano per le operaie a una condizione da medioevo. Devono poi sentirsi anche offese, umiliate, se chiedono una tuta blu per evitare l’imbarazzo di macchie nel periodo delle mestruazioni. Quando escono sfinite dalla fabbrica, nei giorni di riposo non possono riposarsi, perché a casa ricominciano con le faccende domestiche, i figli, ecc.

Le braccianti dicono: “Ci sentiamo le schiave del terzo millennio”. Sono pagate poco più di venti euro al giorno, per dieci, dodici ore di lavoro, anche quindici nei magazzini; sono a nero o con una busta paga falsa, per un lavoro massacrante, in piedi sotto tendoni dove d’estate si arriva a 50 gradi, respirando prodotti tossici, o piegate per ore e ore. Sono selezionate come schiave dai caporali o dal moderno e “legale” caporalato delle agenzie interinali, per i superprofitti delle grandi aziende; devono lavorare sotto gli occhi di una “kapò” che decide anche quando possono andare a fare pipì, ma dietro un albero; le più giovani subiscono anche i ricatti, molestie, fino alle violenze sessuali di caporali e padroni. E poi, stanno morendo di fatica, come Paola e le altre di quest’estate.

Le lavoratrici delle Coop, sempre sotto la mannaia del licenziamento, con salari sempre più tagliati, che non possono ammalarsi. Ricattate, molestate e costrette a lavorare con ritmi disumani per aziende con milioni di fatturato; sempre rimproverate, minacciate di trasferimento per punizione. Lavoratrici/madri discriminate e lasciate a casa senza paga perché non servono più (colpevoli di avere figli piccoli). Dove le operaie vengono molestate sessualmente e licenziate se si ribellano (come le operaie della cooperativa della logistica Yoox Mr Job di Bologna).

Ci sono le ultraprecarie lavoratrici delle pulizie, dal nord al sud, sempre a rischio licenziamento, da appalti ad appalti sempre più al massimo ribasso, lavorano per misere ore e ancor più miseri salari, troppo spesso neanche pagati

E c’è l’ultimo “anello della catena”, le migranti, le “schiave della monnezza”, come le lavoratrici di Monselice (PD) licenziate dalla coop perché protestano per le condizioni inumane di lavoro. Donne marocchine, piegate otto ore sui rifiuti a caccia della plastica riciclabile. Un business ecologico fondato sullo sfruttamento selvaggio delle donne migranti. E devono sopportare anche insulti razzisti e ricatti brutali.

ECC, ECC, ECC.

Sono solo alcune delle tante realtà simbolo della condizione delle donne lavoratrici, in cui è in atto da parte dei padroni, a volte multinazionali, un “moderno medioevo”, che ogni giorno mostra l’intreccio tra attacchi di classe e attacchi schifosi in quanto donne. Una condizione che non ha respiro, perchè la pesantezza, il ricatto della condizione sui posti di lavoro viene portato in casa e la pesantezza in casa, i problemi della maternità, dei figli, della mancanza di servizi sociali, ecc. pesano come altrettanti macigni sulle condizioni e le stesse possibilità di lavoro per le donne.

Una condizione che il governo Renzi ha peggiorato due volte: con il Jobs Act ha istituzionalizzato la precarietà a vita, il libero licenziamento che per prima colpisce proprio le donne, spesso con la scusa della maternità; poi con la miseria dei bonus, ha scaricato ancora di più sulle donne il peso/mancanza dei servizi sociali.

Ma in alcune delle realtà che abbiamo riportato, vi è anche altro. Vi è la ribellione, a volte lotte, scioperi, proteste delle lavoratrici: dalla battaglia contro le tute bianche a Melfi delle operaie, alla denuncia coraggiosa delle braccianti, alla protesta delle operaie di Bologna contro i licenziamenti e i porci padroni, alla forte lotta delle immigrate.

Ma queste lotte e tante altre delle donne ancora non hanno vinto.

Le lotte delle operaie, delle lavoratrici più sfruttate non escono dall’isolamento, le donne operaie, le lavoratrici non sono unite, autorganizzate in una battaglia nazionale, che deve porre con forza la condizione delle donne, di doppio sfruttamento e di oppressione, che sta in ogni lotta singola ma va oltre le singole lotte, perchè richiede un cambiamento a 360°.

L’ARMA CHE ABBIAMO E DOBBIAMO USARE E’ LO SCIOPERO DELLE DONNE!

La situazione oggettiva mostra con mille fatti che è tempo di dire “Basta”, che è tempo di un nuovo forte sciopero delle donne. Ancora non c’è una altrettanta coscienza soggettiva, ma occorre cominciare.

Questo sciopero delle donne, il secondo dopo quello del 25 novembre del 2013, ha al centro proprio le operaie, le lavoratrici più sfruttate e oppresse. Che tutte le altre donne si uniscano!

In primo luogo le lavoratrici della scuola che hanno fatto grandi lotte e nello sciopero del 2013 furono grandi, scendendo in lotta in 12.000.

Ma sono le lavoratrici delle fabbriche, delle campagne, dei luoghi di lavoro più “neri”, le immigrate schiavizzate quelle che mostrano fino a che punto arriva il moderno medioevo del sistema del capitale che si prende e distrugge tutta la vita, a 360°, e che è il capintesta del maschilismo/sessismo organizzato, istituzionalizzato.

L’8 marzo cominciamo la marcia dello sciopero delle donne. Esso deve continuare anche dopo l’8 marzo, perchè via via diventi grande e si estenda dappertutto. Costruendo insieme, nello sciopero, una rete delle realtà di lavoro delle donne, delle lotte, e una piattaforma dal basso.

L’8 MARZO NON MIMOSE MA SCIOPERO!

29/2/2016 http://femminismorivoluzionario.blogspot.it

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *