Viaggio nell’Italia che spara
A Foggia, un affiliato a un’associazione criminale spara ai carabinieri e ne uccide uno per vendicarsi di una perquisizione. A Milano, in zona centrale, viene ferito un uomo forse per un regolamento di conti nell’ambiente dello spaccio di stupefacenti. A Napoli, un agguato alla luce del sole davanti a una scuola ha provocato l’uccisione del nonno dell’alunno e il ferimento del padre. A Roma, spari in pieno giorno hanno provocato due gambizzati davanti al Bar Petit, a Cinecittà.
Altre, ennesime, dimostrazioni di come le scelte politiche fatte in questi anni abbiano contribuito a far aumentare non solo disuguaglianze e precarietà, ma soprattutto l’insicurezza sociale. Spostare il focus su un facile nemico, urlare alla sicurezza come base della vita di comunità declinandola solo con armi e controlli, chiudere porti e contribuire a far accrescere un problema culturale di radicamento del razzismo e della xenofobia, è un vecchio espediente con il quale le élites cercano di nascondere le proprie responsabilità spostando altrove l’attenzione. A questa operazione di elusione non si sottrae nemmeno questo Governo, che anzi è il più feroce nel capovolgere l’ordine delle priorità e delle responsabilità.
Quanto sta avvenendo da più di dieci anni non ci deve impedire di analizzare e comprendere quali siano le cause della crisi e dell’aumento senza precedenti delle disuguaglianze in Italia. Nonostante il peggioramento delle condizioni materiali di ceti medi e ceti popolari denunciata annualmente da istituti di ricerca e di statistica nazionali e internazionali, le proposte avanzate da centinaia di associazioni, movimenti e realtà sociali per contrastare le disuguaglianze non sono state mai prese in considerazione in questi anni. Proposte che avevano e hanno il merito di contrastare allo stesso tempo non solo la povertà ma la criminalità organizzata che continua a trarre enorme guadagno e forza dall’aumento della povertà e delle disuguaglianze. La crescita della cosiddetta zona “grigia” rappresenta uno dei problemi più grandi con cui fare i conti e costituisce la prova e la misura di una serie di interessi convergenti che si sono saldati in questo periodo di crisi.
Le misure messe in campo da tutte le principali forze politiche in questi anni non solo non hanno contrastato la crisi, ma l’hanno allargata a livelli mai visti nel nostro Paese. Vale la pena ricordarcele: taglio dei fondi per miliardi di euro alle politiche sociali; assenza di una riforma del welfare; assenza di misure di sostegno al reddito come previste dai Social Pillar europei; assenza di servizi sociali di qualità come ci chiedono le risoluzioni europee; politiche di austerità promosse dalla Troika in Europa e accettate da tutte le forze politiche presenti in questo Parlamento; assenza di politiche attive per il lavoro e riforme che hanno reso ancora più povero e precario il lavoro; Patto di Stabilità introdotto in Costituzione con la modifica dell’art. 81 che ha capovolto la priorità indicata dal legislatore e tagliato miliardi di trasferimenti ai Comuni, costretti a tagliare i servizi essenziali; politiche fiscali regressive che hanno cancellato i ceti medi, impoverito ulteriormente i più poveri e regalato vantaggi ai ricchi, oggi triplicati nel nostro Paese; assenza di investimenti in ricerca e istruzione che hanno fatto diventare il nostro Paese quello con la generazione di giovani più impoverita dal dopoguerra ad oggi e con una tra le più alte percentuale di dispersione scolastica in Europa.
Quello che più preoccupa è che alla politica oggi al governo e all’opposizione mancano completamente proposte chiare ed efficaci per uscire dalla crisi. Una politica arida e fragile, anche perché sempre più incapace di una visione e di un punto di vista generale. È per questo che, in assenza di proposte, visioni, obiettivi e iniziative politiche coerenti, non può che scatenarsi una guerra tra poveri che favorisce criminalità organizzata e nazionalismi. È quello a cui stiamo assistendo.
Non è un caso che la crescita dell’insicurezza coincida con una crescita degli episodi di violenza. Lasciare soli i territori e le città e tacerne i problemi reali ha prodotto un sistema di protezione sociale, unico vero strumento utile al contrasto di violenza e malaffare, non funzionante e secondario. Come denunciato nel maggio 2016 in Parlamento da Giorgio Alleva, il presidente dell’ISTAT, il sistema di protezione sociale in Italia è tra i meno efficaci a livello europeo. Perché se è vero che la crisi ha una matrice internazionale e scaturisce dall’impossibilità del modello di sviluppo capitalista di garantire sostenibilità sociale e ambientale, è vero anche che l’Italia è riuscita a fare quasi peggio di tutti, schierando risposte che non hanno attutito l’impatto della crisi ma l’hanno amplificata. Chi ha governato in questi ultimi undici anni è quindi responsabile di un sistema di protezione sociale non all’altezza dell’avanzare di disuguaglianze e povertà, che ha favorito mafia e malaffare, contribuendo all’aumento della violenza perché percepita come unico sistema di difesa personale.
Lì dove mancano politica e diritti, si insediano rimedi che nulla hanno a che fare con la sicurezza, la legalità e, tanto meno, la giustizia sociale.
Giuseppe De Marzo e Martina Di Pirro
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