Violenze di gruppo a Milano, i 3 cerchi dell’orrore dei Taharrush Jama’i
Grazie ad un intervento di Maryan Ismail (antropologa somala che vive da 40 anni a Milano), hanno un nome e una storia, terribile e non potrebbe essere altrimenti, le violenze di gruppo avvenute nel capoluogo lombardo la notte di capodanno contro diverse donne (in 8 hanno denunciato) che festeggiavano in Piazza Duomo.
Sono i Taharrush Jama’i, e si traduce letteralmente come “assalti e aggressioni sessuali di gruppo”. La vittima subisce palpeggiamenti, le vengono strappati gli abiti, viene picchiata e presa a morsi, penetrata con le dita o corpi estranei e, se le condizioni di tempo lo permettono, arriva la violenza sessuale vera e propria.
Si tratta di una pratica esportata dall’Egitto che, durante la “rivoluzione” del 2011, fu utilizzata per scoraggiare donne e attiviste a partecipare a raduni pubblici, provocando le reazioni di Ong e organizzazioni femminili. Il fenomeno ha però raggiunto i media occidentali quando ad essere colpita è stata una donna straniera, Lara Logan, giornalista sudafricana che per la CBS seguiva gli eventi egiziani in corso, aggredita a Piazza Tahrir da decine di uomini e portata in salvo da un gruppo di donne e una ventina di soldati. Lara Logan rimase così scioccata che riuscì a raccontare quanto subito solo diversi mesi dopo.
In occasione dei festeggiamenti al Cairo, per la deposizione del presidente Mursi nel luglio del 2013, più di ottanta donne hanno riferito di avere subito stupri o molestie e aggressioni sessuali da parte di una folla di uomini. Secondo diverse organizzazioni egiziane per i diritti umani, tra il 2012 e il 2014 sono stati registrati 500 casi di molestie sessuali e stupri di gruppo, tra le vittime anche una giornalista olandese di 22 anni, aggressione filmata dalla folla, che proponiamo in tutta la sua drammaticità.
ITaharrush Jama’i arrivano in Europa
Nella notte di capodanno tra il 2015 e 2016 i Taharrush Jama’i sono arrivati anche in Germania. Oltre 35 donne denunciarono alla polizia tedesca di aver subito uno stupro di gruppo presso la stazione centrale di Colonia. Gli aggressori erano di origine nordafricana e l’amministrazione della città, secondo quanto riportato da alcuni giornali locali, sottovalutò e addirittura tentò di minimizzare e insabbiare le aggressioni alle donne per evitare di alimentare reazioni violente contro gli stranieri.
Non era però il primo caso di Taharrush Jama’i in Europa. A Stoccolma, nelle edizioni del 2014 e del 2015 del “We are Sthlm”, uno dei festival musicali più in voga tra i giovani e giovanissimi, diverse donne furono vittime di aggressioni di gruppo. Anche in questo caso sulle denunce si tenne un profilo basso. Il caso esplose solo dopo le aggressioni di Colonia, quando il quotidiano svedese Dagens Nyheter, nel 2016, si decise a parlare di quanto accaduto a Stoccolma uno e due anni prima.
Casi simili si sarebbero registrati anche in India, Pakistan, Indonesia ma la paura e la vergogna porta spesso le donne a non denunciare.
Quell’orrore dei 3 cerchi
Per comprendere che si è trattato di Taharrush Jama’i, scrive Ismail, “bisogna sapere come si svolgono le aggressioni. Le vittime, come in altri casi precedenti, sono state isolate e assalite con azioni precise, che prevede la formazione di 3 cerchi stretti di uomini e/o ragazzi.
Il primo cerchio è quello che violenta fisicamente la ragazza.
Il secondo cerchio filma, fotografa e si gode lo spettacolo.
Infine il terzo cerchio di uomini che distraggono la folla circostante con urla e rumori per non far comprendere cosa accade.
Il compito più odioso è svolto da uno o due maschi del primo cerchio che si fingono ‘protettori e salvatori’, rassicurano la vittima convincendola che sono lì per aiutarla ma che poi essi stessi partecipano attivamente alla violenza di gruppo. La tecnica di protezione ha lo scopo di disorientare la ragazza e di spezzarne la resistenza perché non sa più di chi fidarsi. Patisce così anche un ulteriore e drammatico supplizio di tipo psicologico”.
La procura di Milano ha intanto fatto arrestare 2 giovani, uno di Milano l’altro di Torino, con l’accusa di violenza sessuale di gruppo e rapina. Ma la polizia ne sta cercando molti di più, sia stranieri che italiani e, come chiede Maryan Ismail, “Qualora fossero responsabili non dovranno avere attenuanti culturali, ma essere giudicati per violenza sessuale di gruppo” indipendentemente dalla nazionalità.
“Nel mondo arabo islamico, precisa Ismail, il problema viene affrontato a tutti i livelli, senza nascondere che è specificamente culturale e si tratta di ulteriori forme di devianza misogina, patriarcale e maschilista. Il senso di questa specifica violenza di genere è il dominio e il controllo sulle donne. Sono aspetti che non si possono nascondono né giustificare”, in qualsiasi paese si verifichino le aggressioni.
Affrontare questa nuova forma di violenza, senza sminuirne l’importanza e la specificità per paura di passare per islamofobici o razzisti, è urgente e necessario per la sicurezza di noi tutte.
Marina Zenobio
17/1/2022 https://www.popoffquotidiano.it
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