Vite sospese: il Mediterraneo da culla della civiltà a luogo di rotte disperate
Uomini, donne e bambini continuano ad attraversare e a morire nel Mediterraneo, in fuga da fame, persecuzioni e guerre. Nel 2016 gli arrivi sono stati oltre 174.000 e all’8 dicembre i morti erano 4.200. Migliaia di vite sono state salvate da operazioni navali condotte sia da mezzi governativi che da ONG, rimanendo, purtroppo, tutto sempre in uno stato di emergenza, con interventi di salvataggio nei momenti estremi, senza che una vera organizzazione sia ancora stata messa in campo per prevenire o gestire queste rotte della disperazione.
La politica europea sembra del tutto spaesata e incapace di comprendere per poi mettere in campo le scelte e le azioni giuste, consentendo che sia il Destino a decidere della vita o della morte di chi cerca una vita dignitosa, di non morire di fame o sotto le bombe. Davvero l’Europa non sembra più quella terra dei Lumi che ha prodotto per le sue genti l’emancipazione dallo stato di schiavi a quello di cittadini, incidendolo nelle tavole delle sue costituzioni.
Anzi, la trasformazione che le ultime misure hanno portato, è stata di far divenire i luoghi di accoglienza, quelli dell’arrivo e del transito dei migranti, degli Hotspot, ovvero luoghi in cui bisogna identificare con la raccolta di foto e impronte digitali anche con l’uso della forza e della coercizione. Sulla questione hotspot, ci sono state interpellanze in Parlamento, proteste in Italia: si sapeva che non sarebbe stata una misura di facilitazione o di accompagno per una politica che volesse affrontare davvero i nodi della grande questione delle Migrazioni. Secondo una ricerca di Amnesty, queste misure hanno consentito ovunque maggiori violazioni dei diritti umani.
L’accordo che l’Unione europea ha stipulato con la Turchia, a marzo 2016 non ha nulla di umano: la delega ad essere paese sentinella ai confini, creando situazioni drammatiche di campi di detenzione dove si vive in modo disumano, dove le deprivazioni non hanno nulla a che fare con un progetto di uscita dallo stato di profugo per entrare in un cammino di costruzione di un progetto di vita. Inoltre ci sono coloro che sono rimasti in Grecia, che è diventata una sorta di limbo, un luogo dove i profughi non hanno una collocazione ma da cui non possono uscire. I rifugiati avrebbero dovuto fare una richiesta d’asilo o una domanda di ricollocazione, ma i meccanismi per farlo sono stati del tutto inadeguati. Si vive come si può, con mezzi di fortuna. È facile immaginare quali e quante possano essere le violenze a cui donne e bambini sono esposti.
L’Unione europea non può lasciare che migliaia di persone rimangano in queste condizioni, in cui se non perdono la vita, perdono la dignità di esseri umani. Sono da rivedere i trattati con la Turchia, le funzioni dei centri di accoglienza, le spese per le operazioni di polizia che dovrebbero essere ‘umanitarie’, gli accordi con i paesi del Mediterraneo per la creazione di corridoi umanitari.
L’Italia ha un ruolo importante nel Mediterraneo, ruolo da rivendicare, ma che bisogna saper gestire. Ci sono stati sindaci che hanno ricreato comunità dando lavoro e costruendo integrazione tra abitanti locali e nuovi abitanti, ex-migranti… E molto altro si fa.
In Italia, non si può disconoscere la capacità che si è ha avuta di accogliere, nonostante la mancanza di una politica europea adeguata. È stata la dimostrazione di come la sedimentazione di storia e culture abbia lasciato un saper fare diffuso, ma non basta. Ci vogliono un piano, un’organizzazione, i mezzi, le azioni concordate.
Eppure, enti più o meno conosciuti, più o meno estesi, associazioni, che siano Ong o volontarie, sono state in grado di agire e di proporre e, secondo le proprie forze, sono state in grado di risolvere situazioni e portare cambiamenti nella vita di tante persone. Perché il governo e l’UE non guardano e non ascoltano ciò che in gran parte della società civile si muove e si mette in campo, imparando o dando gli strumenti a chi non li ha ma sa e vuole fare?
Laura Nanni
4/2/2017 www.lacittafutura.it
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