Voucher e appalti, la ritirata è tattica.
A quanto pare i padroni sono preoccupati. Il colpo del 4 Dicembre ancora brucia e l’ultima fragile maschera di quel potere che governa il Paese da più di cinque anni trema all’idea di prenderne un altro. Tanto più se questo si gioca in maniera diretta ed esplicita nel campo in cui è disposto a concedere meno, quello del lavoro.
E così, dopo l’assist della corte costituzionale che ha impedito che si votasse sull’articolo 18, ecco il Governo all’opera per disinnescare l’onda di indignazione e odio popolare che poteva travolgere lo strumento simbolo della precarizzazione del lavoro degli ultimi anni: quei Voucher che barattavano decenni di conquiste di diritti collettivi con uno scontrino a un tabaccaio. Hanno preferito essere loro a travolgerli, gli stessi che finora ne cantavano le lodi e che adesso fanno la corsa per sconfessarli. Con un decreto che li abolirebbe in tronco stanno togliendo la pur tenue arma della battaglia referendaria dalle mani di chi avrebbe potuto trasformare l’insofferenza verso i buoni-lavoro in odio verso lo sfruttamento tutto, che così emblematicamente rappresentano. Hanno “ceduto alle pressioni”, come Confindustria gli aveva pregato di non fare. Perché i padroni erano ormai galvanizzati da questo strumento perfetto (per loro), che si stavano abituando a usare dai supermarket ai cantieri, dai ristoranti alle fabbriche e che nel 2016, facendo dei calcoli di massima, arrivavano a incidere per il 20% del lavoro creato (altro che fenomeno marginale). I burocrati della borghesia che governano lo Stato a volte però ci vedono più lungo dei borghesi stessi e sanno che è meglio fare qualche rinuncia economica piuttosto che esasperare lo scontro politico. Tanto il manico del coltello i padroni che l’hanno ben saldo in mano e già sono pronti a evocare la classica minaccia del lavoro nero a cui saranno “costretti” a ricorrere (come se i voucher aiutassero a eliminarlo e non, piuttosto, ad amplificarlo).
E così dopo 20 anni di leggi che ratificavano ed estendevano la flessibilizzazione del lavoro ci ritroviamo con la prima norma che tutela il lavoratore dipendente di fronte al dispotismo del datore. E per non farsi sfuggire nulla, il governo è pronto a intervenire anche sul nodo degli appalti, accettando la proposta referendaria di aumentare (un minimo) la responsabilità del committente di fronte ai dipendenti dell’azienda subordinata. Altro grande tema, dato che a furia di esternalizzazioni è cresciuta una giungla di appalti e subappalti che le imprese hanno usato per aggirare ogni diritto e tutela.
Dicevamo, la prima norma a tutela dei lavoratori da più di vent’anni a questa parte, forse anticipata soltanto da quella che ha esteso e aggravato le sanzioni contro il caporalato nelle campagne. Un provvedimento, quello, che è stato il frutto diretto di numerosi episodi di mobilitazione (da Rosarno a Nardò, finendo a Rignano), oltre che di inaccettabili tragedie. Questa volta le mobilitazioni non ci sono state, mentre le tragedie sono quelle quotidiane di chi rinuncia a pezzi di vita e dignità in cambio di un salario sempre più misero. Però la rabbia monta. Una rabbia finora contenuta dalla “salutare dialettica sindacale”, quella che Renzi aveva provato a rottamare ma che evidentemente rappresenta ancora un passaggio ineludibile per il padronato italiano e che ben poco di “salutare” ha avuto per quei milioni di lavoratori che hanno subito una delle peggiori tornate di rinnovi contrattuali della storia repubblicana. Questa rabbia poteva trovare uno sbocco pericoloso nella campagna referendaria, che avrebbe potuto facilmente “ideologizzarsi”, come dicono i commentatori borghesi. Andando magari ben al di là delle intenzione della stessa CGIL a cui basta e avanza la vittoria legislativa e che solo a quella pensa, rilanciando adesso sullo stesso terreno con la sua “Carta dei Diritti”. Quella rabbia poteva avere un bersaglio e un nome, elevarsi rispetto a quel generico rancore etichettato come “populismo” da chi lo teme.
Questa rabbia doveva essere disinnescata, a costo di ricorrere – e con straordinaria velocità! – alla scelta apparentemente irrazionale di accoglierne le ragioni. Addirittura rivendicandosele, come ha provato a fare goffamente Poletti nella conferenza stampa di oggi in cui si è dissociato da quelli stessi Voucher che, varati con la legge Biagi e sdoganati da Monti, hanno visto la loro esplosione proprio grazie alle ulteriori liberalizzazioni che recavano la sua firma. A costo di sembrare “subalterna alla Camusso” (sic!), la politica è intervenuta nell’economia per evitare che l’economia sfociasse nella politica. Contenti loro, contenti a Corso Italia.
Meno contenti noi, che avremmo approfittato volentieri della campagna referendaria per incalzare il malcontento popolare e rilanciare. Per dire che non ci basta la “responsabilità solidale”, ma vogliamo proprio far fuori esternalizzazioni e appalti! Che non ci basta abolire i Voucher ma vogliamo far fuori la precarietà! Che vogliamo un’economia che si adatti ai lavoratori e non viceversa!
Tutto questo lo continueremo comunque a dire. E questa vittoria ci aiuta a farlo. Hanno paura, facciamogli sentire il fiato sul collo.
18/3/2017 http://clashcityworkers.org
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!