Voucher, la “spallata” del governo ai lavoratori
È arrivato anche un documento dell’Inps a sanzionare l’inefficacia dei voucher come strumento per l’emersione del lavoro nero e come trampolino per i giovani che, entrando nel mercato del lavoro, aspirano a una stabilità lavorativa. Non che avessimo troppi dubbi in proposito, e anche su questo giornale abbiamo parlato spesso di quanto i buoni lavoro fossero piuttosto uno strumento per aumentare il potere datoriale, armando le aziende di un ulteriore strumento di ricatto, sempre molto efficace quando dall’altra parte c’è un lavoratore precario. E un lavoratore che viene pagato con i voucher, è quanto di più precario si possa immaginare.
Uno studio dell’Inps, curato da Bruno Anastasia e uscito nei giorni scorsi, ha evidenziato quanto falsa fosse la narrazione del governo su questo tema. Ricordate? Il governo parlava dei voucher come lo strumento necessario a far emergere il lavoro nero. E invece, secondo l’analisi condotta dall’Inps, «più che a un’emersione» siamo di fronte «a una regolarizzazione minuscola (parzialissima) in grado di occultare la parte più consistente di attività in nero. In questo senso si può pensare ai voucher come la punta di un iceberg: segnalano il nero, che però rimane in gran parte sott’acqua».
Ma il governo, si dice, è già corso ai ripari con un decreto correttivo al Jobs Act che slittava da mesi. La modifica, si afferma dal ministero del Lavoro, è «volta a garantire la piena tracciabilità dei voucher», per cui coloro «che ricorrono a prestazioni di lavoro accessorio sono tenuti, almeno 60 minuti prima dell’inizio della prestazione di lavoro accessorio, a comunicare alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, mediante sms o posta elettronica, i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo e la durata della prestazione», pena una sanzione amministrativa da euro 400 a 2.400 euro in relazione a ciascun lavoratore per cui è stata omessa la comunicazione. Servirà? Per rispondere alla domanda basti osservare i dati del già citato documento dell’Inps.
Nel 2011 – si legge nell’analisi dell’Inps – si sono venduti 15 milioni di voucher; solo quattro anni dopo si sono raggiunti i 115 milioni (un incremento del 767%!); a luglio di quest’anno sono già stati venduti 84 milioni di voucher: un ulteriore incremento del 36% rispetto allo stesso periodo del 2015. E l’utilizzo dei buoni lavoro risulta caratterizzato «da una crescita continua, rapida, diffusa territorialmente e settorialmente, come dimostrano il numero dei committenti (472.000 nel 2015) e il numero dei lavoratori coinvolti (1,4 ml. nel medesimo anno)». Di fronte a questi dati, si può davvero immaginare un esercito di ispettori che rincorrono comunicazioni di milioni di sms o email? E comunque, dal punto di vista datoriale, vale la pena correre il remoto rischio di vedersi comminata la sanzione massima di 2.400 euro? Evidentemente sì, se l’abbattimento del costo del lavoro è considerevole. E lo è, tanto che lo studio dell’Inps segnala l’esistenza di «imprese con poche unità di dipendenti che organizzano centinaia di prestatori (voucheristi) o piccole imprese “tentate” dalla sostituzione del lavoro stagionale o a termine con il ricorso al lavoro accessorio». Il caso del Veneto, in questo senso, è emblematico e l’Inps lo cita sottolineando come un’impresa possa sostituire «5 giornate di lavoro dipendente con circa 14 giornate di lavoro accessorio, ottenendo quindi un numero maggiore di giornate e probabilmente meno onerose». Si triplica, così, lo sfruttamento della forza lavoro.
Ovvio, quindi, che i lavoratori che entrano in questa spirale ne escono con sempre maggiori difficoltà, mentre le imprese ne fanno crescente ricorso in un crescente numero di comparti. Ovvio, quindi, per un governo che risponde esclusivamente ai desiderata padronali, rassicurare la parte datoriale che i voucher non verranno aboliti. Ovvio, visti i risultati finora ottenuti, che per l’approvazione del Jobs Act, fosse «necessaria – per usare l’ammissione del ministro Poletti – una spallata riconsegnando al governo la capacità di decidere». Che è poi quel decisionismo che è tanto caro ai fautori della controriforma costituzionale, che, stando alle aspettative di Poletti, permette di «recuperare al governo il suo potere di decisione». Stiamo parlando di quel potere decisionale per cui non sarà più necessario trovare espedienti per aggirare quel che rimane della democrazia costituzionale per approvare altri Jobs Act, altre riforme della pensione e in generale qualunque misura antipopolare.
La condizione italiana è anche frutto di quella democrazia costituzionale mai davvero applicata; di quel decisionismo: che ha prodotto il basso costo di un ingegnere rispetto a un collega europeo e che per il governo è un vanto da pubblicizzare, per attrarre investimenti esteri; che ha generalizzato la precarietà; che ha diffuso a macchia d’olio l’utilizzo dei voucher; che ha aumentato le disuguaglianze; che ogni anno costringe all’emigrazione migliaia di studenti e lavoratori. Per questo l’opposizione al Jobs Act, al sistema dei voucher, alla truffa pensionistica dell’Ape, alla precarietà, passa anche per un No forte e chiaro alla controriforma costituzionale e al governo Renzi.
Carmine Tomeo
15/10/2016 www.lacittafutura.it
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