Zelensky inasprisce il reclutamento: l’Ucraina rischia il collasso sociale

di Mauro Vezzosi

Nonostante il mandato quinquennale di Vladimir Zelensky si sia concluso il 20 maggio scorso, né gli Stati Uniti né le principali cancellerie dell’Europa occidentale sembrano voler mettere in discussione nell’immediato il suo ruolo. O almeno non pubblicamente, considerati gli evidenti “malumori ucraini” in seno all’amministrazione Biden. Alla questione della legittimità dell’ex comico si sommano le difficoltà economiche e militari del paese: in particolare, rispetto alle seconde, i numeri delle forze armate rappresentano uno dei maggiori problemi per la dirigenza ucraina. Sia negli mesi scorsi che più di recente queste problematiche hanno fatto emergere forti tensioni tra il presidente Vladimir Zelensky e l’ex capo dello stato maggiore Valery Zaluzhny, poi destituito. Alle prese di posizione di Zaluzhny, insistenti sulla necessità di incrementare il reclutamento di militari, si sono aggiunte quelle di Kirill Budanov – capo dei servizi militari – sostanzialmente sulle medesime posizioni.

Lo scorso 18 maggio in Ucraina è ufficialmente entrata in vigore la nuova legge che regolamenta la mobilitazione – anche forzoso – dei militari. Tra le principali novità attuate ci sono l’abbassamento della soglia anagrafica per il reclutamento dai 27 ai 25 anni oltre all’interruzione di tutti i servizi consolari per i cittadini ucraini all’estero, come ad esempio il rinnovo del passaporto, senza i documenti di avvenuta presentazione presso gli uffici militari. La legge rappresenta un ulteriore inasprimento del controllo sulla popolazione soprattutto maschile, ma non solo: la nuova legge ormai in vigore riguarda infatti anche le donne, introducendo obblighi di carattere militare per il personale sanitario femminile.

Mentre i dati pubblicati dalla Banca mondiale fotografano la situazione di un paese in cui circa un ucraino su tre si trova in condizioni di povertà Vladimir Zelensky ha sottolineato l’importanza di queste scelte per mettere a disposizione delle forze armate circa mezzo milione di nuovi combattenti, pur omettendo un dato fondamentale: considerando il numero degli abitanti dell’Ucraina ed i suoi problemi attuali è estremamente difficile che mezzo milione di uomini possa essere mobilitato senza coinvolgere i lavoratori di settori strategici – energia, chimica, siderurgia, telecomunicazioni, forze di polizia, personale sanitario, logistica – . Un esempio di ciò è la situazione della più grande acciaieria nei territori sotto il controllo di Kiev, quella di Krivy Rog, proprietà di Acerlor-Mittal. Come ha scritto il Financial Times dei diciottomila lavoratori dell’acciaieria dal febbraio 2022 ne sono stati mobilitati ben tremila cinquecento, contribuendo a determinare un forte calo della produzione. La stessa dirigenza di Acerlor-Mittal ha dichiarato che se la mobilitazione del personale proseguirà sarà l’esistenza stessa dell’acciaieria ad essere a rischio.

Rispetto alle carenze numeriche delle forze armate la mobilitazione della popolazione carceraria – sia maschile che femminile – che le autorità di Kiev hanno avviato sembra destinata a mitigare forse il problema, ma certamente non a risolverlo. All’entrata in vigore della legge alcuni camionisti hanno risposto organizzando dei blocchi stradali lungo l’autostrada tra Odessa e Kiev. La categoria è infatti una delle maggiormente interessate dai nuovi provvedimenti: diversamente da quanto avveniva in precedenza in base a questi ultimi molti camionisti potranno essere arruolati forzosamente durante controlli stradali o di frontiera. L’attacco russo ha aggravato la situazione demografica ucraina, già alla prese con una natalità molto bassa dal collasso sovietico: i problemi demografici del paese sono destinati a determinare pesantissime conseguenze a medio e lungo termine sul piano economico. Milioni di persone sono state spinte ad allontanarsi dal paese sia legalmente che non. Decine almeno sono gli ucraini affogati negli scorsi mesi nel fiume Tibisco (Tisa) nel tentativo di attraversare clandestinamente il confine con la Romania e sottrarsi così alla mobilitazione forzata.

Secondo l’UNHCR già nel 2023 gli ucraini che avevano lasciato il paese erano circa 8 milioni: la stessa istituzione nel febbraio scorso stimava il numero degli ucraini che avrebbero abbandonato il paese in circa 6 milioni e mezzo. Su quale sia oggi il reale numero degli abitanti dell’Ucraina mancano dati precisi, benché sia possibile arrivare a delle ragionevoli approssimazioni. Dai 45 milioni di abitanti del 2014, dopo il colpo di mano russo in Crimea e l’insurrezione delle regioni orientali la popolazione nei territori sotto il controllo di Kiev si è era già ridotta di alcuni milioni. Il censimento ucraino del 2019 attestava la popolazione del paese alla soglia dei 37 milioni, senza il conteggio della popolazione dei territori sotto controllo russo. Il numero reale di abitanti dell’Ucraina potrebbe dunque essere al di sotto della soglia dei 30 milioni: di questo avviso è ad esempio l’ex ministro dell’interno ucraino Nikolay Azarov. per il quale la popolazione ucraina si sarebbe ridotta addirittura a 23 milioni. Pur mancando dati certi sul numero esatto di uomini potenzialmente utilizzabili per le attività militari gli elementi a disposizione sono sufficienti ad indicare il vantaggio delle forze armate russe in un numero di uomini arruolabili almeno 5-6 volte maggiore rispetto a quelle ucraine. Un dato che insieme alla congiuntura politica ed economica del continente risulta emblematico,mostrando come il sacrificio di altre migliaia di giovani ucraini non possa che lasciare comunque disattese, come i precedenti, le promesse della dirigenza ucraina.

3/6/2024

Maurizio Vezzosi, analista e reporter freelance. Collabora con RSI Televisione Svizzera, LA7, Rete4, L’Espresso, Limes, l’Atlante geopolitico di Treccani, il centro studi Quadrante Futuro, La Fionda ed altre testate. Ha raccontato il conflitto ucraino dai territori insorti contro il governo di Kiev documentando la situazione sulla linea del fronte. Nel 2016 ha documentato le ripercussioni della crisi siriana sui fragili equilibri del Libano. Si occupa della radicalizzazione islamica nello spazio postsovietico, in particolare nel Caucaso settentrionale, in Uzbekistan e in Kirghizistan. Nel quadro della transizione politica che interessa la Bielorussia, nel 2021 ha seguito da Minsk i lavori dell’Assemblea Nazionale. Tra la primavera e l’estate del 2021 ha documentato il contesto armeno post-bellico, seguendo da Erevan gli sviluppi pre e post elettorali. Nel 2022, dopo aver seguito dalla Bielorussia il referendum costituzionale, le trattative russo-ucraine, e sul campo l’assedio di Mariupol, ha proseguito documentare la nuova fase del conflitto ucraino. Nel 2023 ha continuato a documentare la situazione nelle aree di Lugansk, Donetsk, Zaporozhe e Kherson sotto controllo russo. Durante l’estate si è recato in Georgia approfondendo la situazione sociale e politica della repubblica caucasica. A settembre ha partecipato al’AJB DOC Film Festival (Al Jazeera Balkans) di Sarajevo e al festival Visioni dal Mondo di Milano con il documentario “Primavera a Mariupol” (Spring in Mariupol). È assegnista di ricerca presso l’Istituto di studi politici “S. Pio V”.

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