Zero morti i sindacati europei fissano la scadenza per porre fine alle uccisioni sul lavoro
In versione interattiva http://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-settembre-2022/
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Fissare l’ultimo giorno che una lavoratrice o un lavoratore morirà sul luogo di produzione in Europa? Può sembrare una macraba battuta ma è un serio intento affermato dalla Confederazione europea dei sindacati che ha un piano per arrivarci entro il 2030. Le perplessità iniziano sul come arrivare a questo obbiettivo se, comunque, si prevede che entro questo decennio 30.000 persone potrebbero perdere la vita sul lavoro.
Una domanda ovvia: perchè non agire subito per evitare, o perlomeno diminuire, queste morti? E alla domanda segue una considerazione: se Claes-Mikael Stahl, vice segretario generale della CES, afferma “Ci sono troppi decessi sul lavoro” non pare possibile entrare nell’ottica di un cosi ambizioso progetto se si accetta che ci siano, aspettando il 2030, altre decine di migliaia di morti.
Però si afferma che la “morte zero” sul lavoro non è un’utopia, ma l’utopia ha bisogno di atti concreti per farla diventare possibile ed è quello che non abbiamo letto nel documento della CES.
Si dice invece che la tendenza degli incidenti mortali sul lavoro è in calo. Una affermazione che non tiene minimamente conto del sempre più ridotto numero di occupati causa licenziamenti e crisi occupazionale per chiusura fabbriche e delocalizzazioni.
Una dimenticanza grave per occhi attenti come quelli della CES. Altrettanto sbagliato è il conto dei morti quotdiani quando si afferma che nei paesi dell’Unione Europea 12 lavoratori non tornano a casa perché morti sul lavoro. Come è possibile che siano 12 se solo inItalia ce ne sono almeno tre al giorno?
Invece sulla vigilanza:
“Stiamo anche assistendo a una significativa diminuzione delle ispezioni sul posto di lavoro in tutta Europa. Attualmente vengono effettuati mezzo milione di ispezioni in meno sulla sicurezza sul lavoro rispetto all’inizio dell’ultimo decennio.”
Anche qui, crediamo che il numero di mezzo milione non tenga conto della decennale frammentazione del mondo del lavoro con un grande aumento di piccole imprese in tutti i settori e in particolare nel commerco, nell’edilizia e nella agricoltura. Quindi, il numero di mezzo milione va raddoppiato anche a causa del sempre più ridotto numero degli ispettori.
Mentre è accorto il capitolo sulle malattie professionali.
“Il cancro da esposizione a sostanze pericolose è la causa più comune di morte sul lavoro. I lunghi orari di lavoro e la pressione psicologica sul lavoro causano malattie cardiache, ictus, depressione e suicidio. Cattiva postura, movimenti ripetitivi e sollevamento di carichi pesanti causano mal di schiena e altri disturbi muscolo-scheletrici e, a loro volta, causano depressione, oltre all’impossibilità di lavorare.
In particolare, è necessario un cambiamento tra le parti interessate sul modo in cui è organizzato il posto di lavoro e il lavoro stesso, ponendo l’accento sulla salute fisica e mentale dei lavoratori, piuttosto che esclusivamente sui profitti.
Inoltre, è necessario fare molto di più per porre fine al cancro causato dalle sostanze pericolose sul posto di lavoro, che ogni anno provocano la morte di 100.000 persone. Tuttavia, anche le radiazioni, lo stress e altri fattori legati all’organizzazione e alle condizioni del lavoro sono stati tutti collegati al cancro correlato al lavoro. Nel 2015, il cancro correlato al lavoro ha rappresentato una stima del 53% di tutti i decessi legati al lavoro nei paesi sviluppati.”
E di seguito:
“È necessario un cambiamento nel modo in cui sono organizzati i luoghi di lavoro. Il benessere fisico e mentale dovrebbe essere al centro delle scelte nei modelli di business. La tecnologia ha abilitato modelli di lavoro come il lavoro in piattaforma, l’uso dell’Intelli-genza Artificiale, il lavoro a distanza; tuttavia, questi non hanno necessariamente migliorato la salute dei lavoratori e molte volte l’hanno invertita”
Quello che non sembra oculato è il percorso per la realizzazione della Campagna “Zero morti”.
Si afferma che “Ci deve essere la volontà di tutti – datori di lavoro, legislatori e responsabili politici – per garantire che la salute e il benessere dei lavoratori siano protetti sul posto di lavoro. Ciò inizia con una legislazione di vasta portata, ambiziosa e applicata.”
Qui, in questo stato di cose presenti tutte a sfavore dei lavoratori, manca del tutto la cultura propria di un sindacato – in particolare se riguarda la salute e la vita dei lavoratori – quella del conflitto, che consente una autonoma visione dalle imprese delle condizioni del lavoro, base per la vigilanza sull’organizzazione del lavoro. La conferma di questa mancanza sta nel passaggio che si rivolge solo ai governi senza partire dal concetto basilare della cassetta degli attrezzi sindacale, riempita di lotte e scioperi, dalla quale nascono gli unici“appelli” che imprese e governi ascoltano con attenzione indotta.
Franco Cilenti
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