ZES: come ti finanzio il Nord

Arriva la ZES: dopo il ponte sullo Stretto è la nuova arma di distrazione di massa, utile a spianare la strada all’autonomia differenziata…

Titoloni della stampa servile, tutti a propagandare la ZES, il ministro Fitto in una nota indica che Vestager «ha accolto positivamente la proposta» sulla ZES «superando le attuali 8 zone economiche speciali già previste e istituite per rafforzare il sistema e sostenere la crescita e la competitività del Mezzogiorno».

Lo schema è sempre il solito: propagandare un provvedimento in teoria utile per il Mezzogiorno (così come in precedenza si è fatto per il ponte sullo Stretto, il PNRR o con la Cassa per il Mezzogiorno) per poi bloccare i fondi, spostarli e continuare ad usare la colonia interna Mezzogiorno come discarica terzomondista a disposizione dello sfruttamento programmato a favore delle industrie e prenditori del Nord e di multinazionali straniere.
Ricordate le “cattedrali nel deserto”? Bene, qui se possibile è ancora peggio…
Il premier del marcescente governo fascioleghista poi contemporaneamente ha colto subito l’occasione per sfruttare antropologicamente l’assist fornito da questa ennesima pagliacciata di Stato dichiarando: “per il Sud basta assistenzialismo ma lavoro e crescita”.
Non si capisce bene in che periodo sia avvenuto l’assistenzialismo di Stato, visto che il Rapporto Eurispes Italia 2020 certifica in ben 840 miliardi di euro (solo nel periodo 2000-2017) la sottrazione al Mezzogiorno di risorse dovute in base alla percentuale di residenti (34%) dallo Stato e distratte dai governi del centrosinistradestra a favore dei territori secessionisti della “Locomotiva”.

Per la cronaca, le ZES sono aree geografiche dotate di legislazione economica differente dalla legislazione dei Paesi a cui fanno capo. Le ZES, di solito, vengono istituite per attrarre investimenti stranieri sul modello “neoliberista”, con una riduzione dei termini non solo per i il procedimenti amministrativi, ma persino di tutti i procedimenti ambientali (VIA, VAS, ecc.) allo scopo di “fare presto”. Infatti per le concessioni di derivazioni idroelettriche, si prevede che “alla scadenza delle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche per le zone economiche speciali – istituite per agevolare gli investimenti speciali – si prevede la riduzione e nei casi di decadenza o rinuncia, le opere […] passano, senza compenso, in proprietà delle regioni» e che «le regioni, ove non ritengano sussistere un prevalente interesse pubblico ad un diverso uso delle acque, incompatibile con il mantenimento dell’uso a fine idroelettrico, possono assegnare le concessioni di grandi derivazioni idroelettriche […] ad operatori economici individuati attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica”- leggasi privatizzazioni.
Non solo: la legge dello Stato attribuisce alla competenza delle Regioni anche la disciplina delle modalità per lo svolgimento delle procedure di assegnazione delle concessioni, dei termini per l’avvio delle procedure, dei criteri di ammissione e di assegnazione, della durata delle concessioni, ecc. Tutte questioni che – anche alla luce di quanto precisato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 59 del 2017 – atterrebbero più propriamente alla “tutela della concorrenza” (materia di competenza esclusiva dello Stato) e non all’energia (materia di competenza concorrente Stato-Regioni). In pratica, ciò che i leghisti ancora non riescono a portare a casa attraverso il “regionalismo differenziato”, riescono a farlo attraverso una semplice legge del Parlamento.

Nella gestione di queste aree con agevolazioni fiscali bisogna però stare molto attenti perché il rischio concreto è quello di distruggere l’ambiente e il paesaggio. Se non fosse ancora chiaro, è anche per questo che ad esempio in Assemblea regionale siciliana è stato presentato il disegno di legge per smantellare le Sovrintendenze e, in generale, per eliminare i controlli sulle attività economiche nelle aree vincolate. Ad un osservatore attento non sfugge il fatto che le due ZES siciliane, che ora saranno abolite e integrate, sono molto ampie e inglobano zone archeologiche e, in generale, di pregio. In questi casi, avere le mani libere agevola gli investitori internazionali e affaristi vari, che non arrivano per fare beneficenza, ma solo per fare affari. Ne sa qualcosa la Cina, che è stato uno dei primi Paesi a sperimentare le ZES e nelle cui aree in questione ha sviluppato un inquinamento ambientale spaventoso. ZES sono presenti da anni in India, in Russia, in Kazakistan, in Corea del Nord, nelle Filippine. La prima area Zes fu in Irlanda nel 1959. Nella sua forma attuale l’Unione europea ha previsto la possibilità di creare delle Zes dal 2013, e l’Italia si è adeguata con il decreto legge 91 del 2017, poi con un successivo regolamento nel 2018 e infine nel 2021 per tenere conto del PNRR. Nel primo dl, quello del 2017, è scritto che per ZES “si intende una zona geograficamente delimitata e chiaramente identificata” in cui “le aziende già aziende già operative e quelle che si insedieranno possono beneficiare di speciali condizioni, in relazione alla natura incrementale degli investimenti e delle attività di sviluppo di impresa”. Uno dei criteri è anche che nella zona in questione ci sia almeno un’area portuale. L’impresa che investe in una ZES deve impegnarsi a mantenere aperte le attività per un certo numero di anni (7/14). E dovrà effettuare le assunzioni tra i residenti dell’area ZES o nei Comuni vicini. Le ZES, di fatto, sono aiuti di Stato camuffati. Infatti quasi tutti i Paesi della UE che hanno istituito le ZES, fino ad oggi, hanno chiesto deroghe all’articolo 107 del TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea). In tutti i Paesi del mondo dove ricadono le ZES a decidere sono gli Stati. Nell’Eurozona decidono i burocrati della Ue e gli Stati non contano nulla, le Regioni ancora meno. Il resto al momento sono solo chiacchiere, se non che è evidente l’assist europeo a favore del prosieguo dell’autonomia differenziata, non a caso Calderoli esulta.

A fare del Mezzogiorno un’unica grande zona economica speciale al posto degli otto piccoli distretti, ci ha pensato il ministro Fitto, che vuole accentrare nelle sue mani a Roma tutte le politiche di coesione, togliendo ogni potere alle regioni del Sud e contemporaneamente dare sterminati poteri alle Regioni del Nord approvando in Cdm il Ddl Calderoli sull’autonomia differenziata. “Il governo sta provando a costruire un percorso in discontinuità con le precedenti esperienze e ritiene necessario che vi sia un coordinamento tra le politiche economiche, nazionali, comunitarie e regionali”, ha spiegato Fitto durante un dibattito che si è svolto in Assonime, l’associazione che raggruppa le holding del capitalismo italiano. “La questione della ZES unica va inquadrata in un contesto più ampio di spesa dei fondi strutturali e di attuazione del PNRR: le verifiche fatte ci dicono che dobbiamo avviare una nuova fase basata su un disegno unico di rilancio del Mezzogiorno”.
È stato il primo confronto pubblico a cui il ministro ha accettato di sottoporsi sul Dl Sud che sta suscitando interesse tra gli operatori economici ma anche incertezza visto che di colpo vengono cancellate le otto zone economiche speciali gestite a livello locale da altrettanti commissari e viene costituita una Zes unica gestita direttamente da Palazzo Chigi. Praticamente, un percorso di autonomia differenziata all’incontrario: il potere dello stato in materia di politica economica – con le decisioni relative agli investimenti pubblici ma anche privati – viene accentrato invece che essere decentrato.
È stato così pubblicato in Gazzetta Ufficiale 19 settembre 2023, n. 219, il Decreto Legge 19 settembre 2023, n. 124 contenente misure in materia di coesione per il rilancio dell’economia nelle aree del Mezzogiorno del Paese che prevede: l’istituzione dal 1° gennaio 2024 della nuova Zona economica speciale per il Mezzogiorno, denominata “ZES unica” che comprenderà i territorio delle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna; l’istituzione di una cabina di regia ZES presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, con compiti di indirizzo, coordinamento, vigilanza e monitoraggio; la durata triennale del Piano strategico della ZES; la sostituzione di tutti i titoli abilitativi con un’autorizzazione unica rilasciata nell’ambito di un procedimento unico, per l’avvio di attività produttive per le imprese già operative o che si insedieranno; il riconoscimento, per l’anno 2024, di un contributo emesso sotto forma di credito d’imposta, destinato alle imprese ubicate nella ZES unica, che effettuano acquisti (anche mediante leasing o altri contratti di locazione finanziaria) di beni strumentali destinati a strutture produttive di nuovo impianto o già esistenti sul territorio; Infine, si specifica che il credito d’imposta è commisurato alla quota di costo complessivo dei beni acquistato, e non si applica ai soggetti operanti in determinati settori (industria siderurgica, settore energetico, creditizio, finanziario ed assicurativo), e alle imprese in stato di liquidazione o di scioglimento.
In realtà questo gioco a rimpiattino, cioè abolire le vecchie ZES e far partire la ZES unica, è utile anche per fare ripartire, come al gioco dell’oca, tutto dal via. Bloccando gli investimenti, i fondi europei, i FSC, assieme a tutti gli investimenti immateriali connessi o consequenziali (in turismo, cultura, ricerca scientifica, aiuti alle imprese, ecc.) già programmati.

Come si può strappare alle Regioni del Sud la possibilità di utilizzare l’FSC per colmare il divario dei propri bilanci ordinari di gran lunga inferiori a quelli delle Regioni del Nord anche per le spese immateriali oltre che per gli investimenti? Che senso ha bloccare i miliardi del FSC assieme ai Fondi FESR, al PSR in agricoltura, al Fondo sociale europeo, tenere fermi centinaia di milioni del PNRR, col rischio di perderli per mancato utilizzo, mentre si dice di voler “rimodulare” e di “mettere in ordine”, nei Fondi europei, i Fondi nazionali FSC, dei fondi destinati alle ZES che non possono essere bloccati per il lungo tempo necessario alla creazione della ZES unica, mentre si smantellano le ZES esistenti per ricominciare tutto daccapo?

Che almeno si salvino le esperienze e gli uffici dei commissari attuali e li si innestino in una più ampia regia nazionale: si può migliorare l’esistente senza smantellare e senza interrompere il lavoro per anni come fatto per il PNRR e per l’FSC. Ricordando poi che si è persa traccia del fondo di perequazione infrastrutturale, che vale ben 4,6 miliardi di euro in gran parte destinati al Sud.
La ristrutturazione e la rimodulazione dei fondi disponibili andava realizzata facendo proseguire in parallelo l’erogazione delle somme per opere sensate e realizzabili nei termini, bloccando quelle insensate e fuori tempo massimo, senza ingenerare, soprattutto nell’Unione Europea, la sensazione di non essere in grado di gestire la situazione.

La responsabilità che il governo si sta assumendo è enorme nel momento in cui si chiede alla UE di rimodulare in ogni regione, per importi miliardari, opere già appaltate dai Comuni. E per un ente come lo Stato, definanziare senza giustificato motivo ciò che è già stato appaltato, per sostituire in modo incerto nel modo, nel se e nel quando il finanziamento, corrisponde ad un danno erariale se la necessità e la tempestività dell’opera fosse confermata.

Tutto già visto, appunto, ai tempi. Per il resto, come per il PNRR, al Sud se va bene resterà solo qualche briciola degli euro che circoleranno. Non a caso prenditori ed accattoni politici stanno già sgomitando per contendersi il residuo piatto di lenticchie, anche a vantaggio delle loro clientele. Tutto già visto, appunto, ai tempi delle cattedrali del deserto. Uno schema che ora ripropongono, immutabile, e che sarà ancora più dannoso…

Natale Cuccurese

4/10/2023 https://transform-italia.it/

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